06 agosto 2007

A Lingotto con Roald Hoffmann

Il Sole 24 ore n. 213
Domenica 5 Agosto 2007
Scienza e filosofia pp. 40

La libertà della ricerca

A Torino una pièce teatrale scritta dal premio Nobel Roald Hoffmann fa riflettere su scienza ed etica, e va controcorrente

di Sylvie Coyaud

Al Lingotto si tiene da oggi a venerdì prossimo il quarantunesimo congresso dell'Unione internazion­ale di chimica pura e applica­ta sul tema delle frontiere di quella pura e del contributo di quella applicata a «salute, amb­iente e patrimonio culturale». Circa 5mila partecipanti, smistati in dieci sessioni parallele, seguiranno un totale di 230 presentazioni, per fare il punto sulle novità che, dal programma, annunciano un futur­o chimico-bio-nano-tech, bio­sintetico e biomimetico in tutt­i i settori, dalla farmacologia all'informatica, all'energia. Una mostra della Chemical Heritage Foundation di Phila­delphia ricorderà invece la strada percorsa nell'ultimo mezzo millennio, con una selezione della collezione Neville che è riuscita ad acquistare nel 2004: in tutto 6mila volumi sto­rici, tra cui testi di alchimia di cui esiste un unico esemplare.
Il congresso viene inaugura­to alle 16 da Roald Hoffmann, Nobel 1981 e ogni tanto nostro collaboratore, con un interven­to su scienza ed etica seguito dal­la rappresentazione della sua ul­tima pièce Should’ve (traduzione italiana Se si può, si deve?, Di Renzo Editore, Roma). Diversa­mente da Ossigeno, l'allegra commedia degli equivoci scrit­ta con Carl Djerassi, su chi di La­voisier, Priestley e Scheele aves­se davvero scoperto il gas, que­sta è una successione di ventiset­te scene brevi e tese, per tre atto­ri. L'autore riassume così la tra­ma: «Si apre con il suicidio di Friedrich Wertheim, un chimi­co d'origine tedesca, che si senti­va colpevole di aver consegnato ai terroristi un metodo semplice per creare una neurotossina. Le circostanze e i motivi del suo gesto travolgono la vita della figlia Katie, una biologa molecolare con idee molto diverse sulla re­sponsabilità sociale degli scien­ziati, del suo compagno Stefan, un artista concettuale, e di Julia, la seconda moglie, separata da tempo. Cercano di resistere alla potenza trasformatrice della morte e ne sono incapaci, dila­niati dai ricordi, dal passato che essa fa affiorare portando a nuo­vi legami tra i personaggi». Ka­tie vuole ricreare in laboratorio il virus dell’influenza spagnola che uccise milioni di persone al­la fine della Prima guerra mon­diale, Stefan prepara un'installazione provocatoria che prende di mira la religione cattolica. Entrambi difendono la propria scelta con argomenti razionali - è un'occasione imperdibile, pro­mette fama e carriera - senza ac­cettare limiti né alla ricerca della conoscenza né alla libertà di espressione. È Julia, sentimentale, priva di ambizioni, a chiedere «se si può, si deve?» Alla fine, le risposte sono più di una e quella decisiva è lasciata all'interpreta­zione dello spettatore. Hoff­mann però non ha dubbi. «An­che se molti miei colleghi non saranno d'accordo, ritengo che certe ricerche non si devono fa­re», diceva in un'intervista su «Chemistry International» di maggio. Pensa che un codice eti­co della ricerca sia necessario perché «gli scienziati non nasco­no etici e la scienza non è etica­mente neutrale». D'altronde, nella pièce Stefan «crede alla fal­lacia romantica secondo cui gli artisti facciano soltanto il be­ne». Cita opere stupende al ser­vizio di ideologie mostruose e molecole bifronti, stupende anch’esse, che il contesto, l'inten­zione, o l’ignoranza trasforma­no da benefiche in nocive. La soluzione non sta nell'in­segnare una filosofia morale ta­gliata a misura di ricercatore, ag­giunge Hoffmann, ma nel coin­volgere scienziati e aspiranti ta­li in gruppi di discussione su ca­si reali, in una discussione «da proseguire per tutta la vita». Adesso che ha appena compiu­to settant' anni e va in pensione, la prosegue non più con il grup­po degli studenti che si ritrova­vano nel suo ufficio immenso e caotico all’università Cornell, ma a teatro. Ha assistito alle ripetizioni di Should’ve a Edmon­ton, in Canada, mentre il regista Stephen Heatley analizzava ogni frase di quel testo scarno, costruito come un gioco di sim­metrie, e chiedeva agli attori ­Robert Clinton, Maralyn Ryan e Michele Brown - di immagina­re quello che accadeva ai perso­naggi tra una scena e l'altra. Affa­scinato dalle storie che ne nasce­vano, aveva ascoltato in silen­zio, era «rimasto a imparare, scoprire ambiguità, profondità che non sospettavo», A Torino invece, ci sarà un simposio po­meridiano, «Beyond Should’ve: Ethical Issues in Science and Education», nel quale dibatterà con i colleghi «soprattutto se non la pensano come me. - dice - È riservato ai congressisti, ma lo spettacolo è aperto a tutti, so­prattutto a chi legge le vostre pa­gine di scienza e filosofia,imma­gino». I biglietti, gratuiti, si pos­sono ancora ritirare alla Vetrina per Torino di piazza San Carlo e all’Auditorium di Piazza Solferino.

Roald Hoffmann – De si può, si deve? - Di Renzo Editore

03 agosto 2007

La scienza e il vuoto

L’Espresso
Anno LIII – Numero 31
03 Agosto 2007
sezione: Cultura pp. 109

Quanto pesa il vuoto
di Piergiorgio Odifreddi

Per la maggior parte di noi, il vuoto è un luogo dove non c’è niente. Per i fisici quantistici, invece, il vuoto è un luogo dove c'è di tutto, come ci canta e ci suona Frank Wilczek, premio Nobel per la fisica del 2004, in un bell’assolo su "La musica del vuoto" (Di Renzo Editore, pp. 89, euro 12). La domanda fondamentale alla quale lo scienziato risponde riguarda l'origine della materia ordinaria, che è naturalmente l'esatto contrario del vuoto: la sua sorprendente risposta è che essa, per il 90 per cento, emerge da una teoria idealizzata i cui ingredienti (quark e gluoni) sono completamente senza massa! A scanso di equivoci, questa emergenza della materia dal vuoto non è affatto una creazione dal nulla: con buona pace dei filosofi, infatti, le due parole non sono per niente sinonime. Più precisamente, la massa di particelle pesanti quali il protone e il neutrone si crea da energia pura secondo la formula di Einstein e le regole della Qcd, la cromodinamica quantistica che lo stesso Wilczek ha sviluppato da studente insieme al suo professore David Gross*, vincitore con lui del premio Nobel. Come invece si formi la massa di particelle leggere quali l'elettrone è ancora un mistero, che attende per la sua soluzione il passo successivo alla Qcd. Nel frattempo, comunque, questa ha già permesso addirittura di riprodurre in laboratorio le condizioni del Big Bang, in eventi esplosivi che provocano palle di fuoco ad altissima temperatura che si espandono in maniera simile all'universo primordiale, lasciando tracce come quelle fotografate sulla copertina del libro, che ci dà un'idea di come dev’essere stato il fatidico momento del fiat lux.

David Gross – L’universo affascinante – Di Renzo Editore
Frank Wilczek – La musica del vuoto – Di Renzo Editore